Il 29 gennaio 2019 è stato pubblicato l’esito della rilevazione ISTAT relativa al 2017 su musei e istituti similari, pubblici e privati, aperti al pubblico in Italia. Apprendiamo che nel 2017 il patrimonio culturale italiano ne vanta 4.889 e di questi l’82% sono appunto musei, gallerie o collezioni.
Che cose emerge, in sintesi?
Il quadro non sembra molto cambiato rispetto al 2011: il patrimonio di musei e istituti similari si è ulteriormente consolidato, ma le risorse – finanziarie e umane – sono in continuo calo nonostante numeri da record (nel 2017 si è toccato il record assoluto di oltre 119 milioni di ingressi).
Ancora una volta è evidente e viene esplicitamente riconosciuta la peculiarità del modello italiano (un patrimonio di piccoli musei diffusi capillarmente), già emersa nel precedente censimento. Si rileva con chiarezza che la piccola dimensione genera molte difficoltà poiché “…si riflette anche sulla capacità organizzativa. Le organizzazioni con meno di 1.000 visitatori sono il 41,3% del totale e dispongono di modeste risorse finanziarie e organizzative….”. Si rileva che hanno problemi di personale e stentano a tenere aggiornato un sito web, a proporre mostre a carattere temporaneo, a disporre di una “Carta servizi”. Per questo “il 42,5% degli istituti aderisce a reti o sistemi museali organizzati, che comprendono altri musei o istituti, al fine di condividere risorse umane, tecnologiche e/o finanziarie…” ma tale propensione si registra soprattutto nei musei pubblici.
I musei italiani hanno difficoltà legate agli orari di apertura, ma “nonostante la riduzione di investimenti e risorse finanziarie e umane, il 63,7% degli istituti è stato aperto almeno 24 ore settimanali, compreso il sabato o la domenica, sette su dieci almeno cento giorni l’anno, ovvero almeno un’intera stagione”. Inoltre uno su cinque prevede l’accesso esclusivamente a titolo gratuito e quasi uno su quattro non emette alcun tipo di biglietto.
Gli operatori sono notevolmente calati negli ultimi anni, e l’impiego dei volontari resta alto: molto meno della metà delle istituzioni sono dotate delle figure professionali previste (dal Direttore all’Addetto ai servizi didattici al Responsabile amministrativo). Pur crescendo il numero dei musei che fruisce di contributi e finanziamenti pubblici, le strutture che hanno registrato meno di 1.000 ingressi risultano penalizzate e ne beneficiano in misura molto minore.
Tre commenti a margine.
Prima di tutto, il criterio con cui sono state censite le istituzioni non rende giustizia della grande ricchezza diffusa sul territorio nazionale. Nonostante la definizione di “museo” riportata nel glossario del report, e nonostante si chiarisca che l’indagine “ha interessato tutti gli istituti, sia statali sia non statali, di diversa tipologia e dimensione, aperti al pubblico con modalità di fruizione regolamentata”, la nota metodologica precisa che sono stati censiti gli istituti “in elenco” ovvero quelli di cui il Ministero è titolare e quelli risultanti alle Regioni, che come sappiamo mettono a monte una serie di paletti che da sempre l’APM contesta. In altre parole, un enorme “sottobosco” di musei è stato ignorato: è noto che all’APM ne risulti un numero ben maggiore, se si conteggiano anche quelli “piccoli” che nonostante non rispettino gli standard sono nondimeno molto fervidi e produttivi. Per intenderci, stiamo parlando di cifre non a tre bensì a quattro zeri: limitarsi a ignorarli non sembra una soluzione molto costruttiva.
In secondo luogo, le questioni poste riflettono soprattutto dati quantitativi da cui sembra desumersi (a nostro parere non del tutto legittimamente) anche un quadro qualitativo. Avere tutte le figure professionali necessarie non significa che la centralità del visitatore sia davvero garantita. Avere molti finanziamenti non implica necessariamente che le attività proposte siano davvero coinvolgenti. Avere grandi numeri di visitatori non garantisce che escano davvero soddisfatti. E potremmo continuare.
Infine, una volta di più vengono messe in luce nel report le debolezze dei piccoli musei nonostante siano altresì leggibili in filigrana, dati alla mano, le loro potenzialità. Si tratta di un tipico approccio a queste realtà, che ne vede soltanto gli aspetti problematici. Il fatto è che a livello governativo e gestionale poco o nulla viene fatto per ovviare a tali croniche difficoltà, al di là di incentivi a “fare sistema” che non sempre sono pertinenti né opportuni. Il “sistema” va infatti creato non a livello di istituti museali, bensì a un livello politico capace di elaborare progetti complessi sotto la guida di un Ministero che mostri davvero di essere capace di un approccio innovativo al nostro patrimonio. Ma francamente al momento non ci sono segnali forti in questa direzione.
Valeria Minucciani
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Febbraio 7, 2019
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